DERBY DI GENOVA – Corosu, Granarolo: «Noi squadra di quartiere, una grandissima soddisfazione»

Dai derby di quella stagione all'orgoglio della squadra di quartiere

Derby Genovese Effe 2000 Granarolo Basket Pietro Del Sorbo Mauro Corosu
Foto del riscaldamento del Granarolo Basket a Verona.

Oggi è in programma uno storico derby genovese di Serie C Unica. Al PalaFigoi di Genova alle 18:00 si affronteranno il MY Basket Genova e il CUS Genova Basket, a distanza di 17 anni dalla sfida tra Effe 2000 e Granarolo Basket, ultima stracittadina in un campionato interregionale di Serie C. In attesa della sfida ecco un’intervista a Mauro Corosu, cestista genovese capitano di quel Granarolo Basket.

Furono due le stracittadine durante quella stagione, una all’andata sotto Natale e una al ritorno. All’andata a spuntarla al Crocera Stadium furono i Biancorossi, squadra di quartiere che si era affacciata orgogliosamente alla Serie C1 con giocatori quasi tutti cresciuti in zona. Al ritorno in Via Cagliari fu invece l’Effe 2000 di Vittorio Vaccaro, con assistente Giovanni Pansolin, una squadra di semiprofessionisti frutto di un progetto ambizioso e che a fine stagione avrebbe conquistato la promozione in Serie B2 superando in finale il Collegno Basket.

«Noi eravamo una squadra di quartiere», racconta Corosu, «era qualcosa di incredibile esser riusciti ad arrivare in un campionato come la Serie C1». Una rosa composta prevalentemente da giocatori di Granarolo e Sampierdarena. «Renzo Panichi era il mio insegnante a scuola», racconta, «quando allenava il CUS Genova io e alcuni miei futuri compagni guardavamo i giocatori di C1 e li vedevamo come qualcosa di inarrivabile». «Panichi invece ci diceva che era raggiungibile con impegno», continua, «cosa che effettivamente facemmo».

«La realtà dell’Effe 2000 era differente», afferma il giocatore, «erano costruiti per fare un campionato di alto livello e quindi per noi il derby così era qualcosa di incredibile». All’epoca c’era grande partecipazione del pubblico, con bimbi di minibasket e settore giovanile che assiepavano gli spalti. «Ricordo l’orgoglio e allo stesso tempo l’imbarazzo di quando i bambini ci chiedevano gli autografi a fine partita», una cosa che però non fece perdere l’attitudine di quartiere al team: «Alcuni miei compagni chiedevano le canotte agli ex giocatori di Serie A che affrontavamo a fine partita per collezionarle».

«Eravamo una squadra undersized rispetto alle altre», racconta, «i nostri lunghi erano Landi, Parentini e Grasso e quindi per noi era un campionato di corsa, difesa e pressing». La preparazione atletica era nelle mani di Max Casella mentre in panchina sedeva Coach Terribile, il primo tecnico che non proveniva “dal quartiere”. «Un aneddoto simpatico che ricordo era che non voleva giocassimo a carte in pullman perché ci avrebbe deconcentrato», racconta sorridendo, «così come anche le docce nel palazzetto di Verona, lo stesso della Serie A, che non riuscivo a regolare in quanto tarate per giocatori di due metri abbondanti».

«Ricordo che anche in Serie C1 nonostante i risultati non eccezionali», continua Corosu, «avevamo una mentalità vincente». Durante la stagione precedente sarebbe bastato non vincere a fine campionato per incontrare una squadra in crisi come Domodossola, e invece con una vittoria incontrarono Alessandria, che li condannò alla retrocessione annullata poi dal ripescaggio. «Giocavamo in realtà dove si viveva una pallacanestro di livello altissimo», aggiunge con il sorriso, «io finivo in ufficio e andavo subito ad allenamento».

Quel derby all’andata fu una grande soddisfazione. «Un po’ il palazzetto, un po’ le percentuali, un po’ l’entusiasmo ci hanno spinti ed è andata bene», racconta, «poi al ritorno in Via Cagliari furono loro a vincere». Ma la soddisfazione più grande rimane quella dell’ambiente che si era creato. «Aver visto giovani ragazzi cresciuti con noi come Giovanni Baiardo e Davide Varrone approdare in realtà importanti e blasonate», afferma in chiusura, «è una cosa che ci riempie ancora oggi di orgoglio».

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